Qualche tempo fa ho avuto l'occasione di passare alcuni giorni in Val
Camonica e ne ho approfittato per andare a vedere e fotografare i forti
austriaci che avevo individuato sulle mie fidate cartine Kompass.
Ovviamente ho anche visitato il museo della Guerra Bianca di Temù
e il piccolo Sacrario dei Caduti al passo del Tonale.
Il museo di Temù, in cui purtroppo non si possono scattare fotografie,
contiene un grande numero di reperti bellici di grande interesse, gran
parte dei quali provenienti dai ghiacciai dell'Adamello dove si svolsero le
epiche battaglie fra i nostri Alpini, Alpini sciatori e i loro corrispondenti
avversari, Kaiserjager e Landesschutzen.
Allo scoppio della guerra il confine passava al passo del Tonale, al di là
del quale esistevano ben cinque forti austriaci più il forte Barbadifior nella
vicina valle di Pejo, ai quali si contrapponeva da parte italiana il solo forte
Corno d'Aola, situato sopra Ponte di Legno, che venne fatto saltare in aria
dai tedeschi in ritirata al termine della seconda guerra mondiale e non esiste più.
Nel corso del 1915 le vicende belliche interessarono principalmente le
montagne di entrambi i lati della val Camonica, come i Monticelli, il Castellaccio, la val Presena da una parte e il Montozzo, il monte Tonale
e il Torrione di Albiolo dall'altra parte.
All'inizio le truppe italiane mostrarono quella indecisione che si ebbe a riscontrare anche in molte altre zone del fronte, come nella zona dello Stelvio e nelle Dolomiti, che ci impedì di occupare subito e con il minimo sforzo delle posizioni libere o facilmente conquistabili, perché giudicate allora non strategiche dal nostro Comando, ma che lo diventarono subito dopo
essere state occupate dagli austriaci.
In val Camonica questo fu il caso dei Monticelli contro cui si accanirono
invano per tre anni e con ingenti perdite i soldati italiani, dopo che furono occupati e poderosamente trincerati dagli austro-ungarici.
Negli ultimi mesi del 1915 gli italiani iniziarono i lavori per portare la guerra
sui ghiacciai dell'Adamello, salendo dalla valle dell'Avio, che parte da Temù,
fino a creare la principale base rappresentata dal Rifugio Garibaldi al lago
di Veneròcolo, intorno a cui sorse un vero villaggio.
Da qui partirono quasi tutte le operazioni militari che, nel triennio 1916-1918
consentirono ai soldati italiani di conquistare praticamente tutti i ghiacciai
dell'Adamello e precisamente il Pisgana, la Vedretta dei Mandron, la Vedretta
della Lobbia fino al Crozzon di Folgorida e al Crozzon di Lares, respingendo
gli austriaci verso la Val di Genova, che era la loro principale via di comunicazione per portare truppe e rifornimenti sui ghiacciai.
Un cenno particolare merita il Corno di Cavento situato sulla stessa dorsale
del Crozzon di Lares e che svetta sulla Vedretta di Lares.
Occupato dagli austriaci, esso venne conquistato dagli italiani nel giugno 1917
con una audacissima impresa eseguita dagli Alpini dei battaglioni Val Baltea e Monte Mandrone che scalarono le ripidissime pareti del Corno di Cavento
dalla parete ovest, mentre un gruppo di Alpini sciatori al comando
del capitano Nino Calvi li attaccava dalla Vedretta di Lares a est del Corno.
Esattamente un anno dopo gli austriaci si presero la rivincita riconquistando
il Corno di Cavento con l'astuzia, in quanto era impensabile un attacco all'aperto sul ghiacciaio. Essi scavarono una galleria nel ghiaccio della lunghezza
di circa settecento metri che arrivava vicino alle trincee italiane alla base del
Corno.
L'attacco fu così rapido e inatteso che gli italiani vennero sopraffatti e il
Corno di Cavento ritornò in mani austriache.
Ma per gli Alpini la riconquista del Corno di Cavento era diventata una
questione di onore e circa un mese dopo, nel luglio 1918, il Corno tornò
definitivamente in mani italiane con un' azione analoga alla prima.
E' doveroso ricordare che sull'Adamello si combatteva a quote superiori ai 3000 metri, con temperature che potevano scendere fino a meno 40o
e tutti i soldati erano esposti, oltre che alle offese del nemico, anche alle
avversità della natura, al gelo, ai crepacci, alle valanghe e ai fulmini.
La guerra sull'Adamello come sull'Ortles, sulle Dolomiti e in genere su tutte le montagne di altezza superiore ai 2000 metri fu una guerra
molto particolare, del tutto diversa da quella che si combattè sul Carso
e sull'Isonzo e in seguito sul Piave, dove gli eserciti contrapposti schieravano
centinaia di migliaia di soldati e migliaia di pezzi di artiglieria.
Qui i cannoni erano poche decine per parte, generalmente di piccolo o medio
calibro, e portarli a 3000 e più metri, smontati in vari pezzi, costava immensi
sacrifici e richiedeva molto tempo.
Alcuni divennero famosi, come il 149 G italiano, attualmente piazzato alla
quota 3290 mt. del Passo della Croce, che richiese l'intervento di centinaia
di uomini e alcuni mesi di tempo per essere portato sul ghiacciaio.
Per quanto riguarda gli uomini era una guerra di specialisti, di esperti alpinisti e di guide alpine he conoscevano benissimo la montagna e
indicavano le vie più appropriate per sorprendere il nemico o per fare
arrivare i rifornimenti alle truppe che vivevano sul ghiacciaio, in baracchette
di legno e in caverne scavate nel ghiaccio.
Soltanto sul fronte italiano si combattè la cosidetta Guerra Bianca e soltanto
sulle nostre montagne si possono ancora trovare così tante tracce della guerra, rappresentate da caverne, trincee, camminamenti, residuati bellici, moltissimo legname e anche resti di Caduti.
Nel giugno del 1918 il già traballante impero austro-ungarico tentò un
ultimo disperato sforzo per superare le difese italiane in val Camonica
e marciare su Brescia e sulla pianura padana.
Questa operazione fu chiamata "Lawine expedition" (Offensiva valanga)
e iniziò in coincidenza con la Battaglia del Solstizio, scatenata sul Piave e
sul Grappa e vide impiegate da entrambe le parti belligeranti molte migliaia
di soldati e moltissima artiglieria.
La battaglia si concluse con il netto successo delle truppe italiane e per gli
austro-ungarici iniziò il rapido declino che doveva portare alla definitiva
vittoria italiana di Vittorio Veneto.
Il Battaglione Val d'Intelvi ebbe a soffrire perdite dolorosissime nelle battaglie sull' Adamello.
Il giorno 30 aprile 1916 venne mandato sulla Vedretta della Lobbia all'attacco di postazioni nemiche indossando le divise grigioverdi che spiccavano visibilmente sul candore del ghiacciaio e diventando un facile bersaglio per le mitragliatrici austriache.
Normalmente si usavano già delle tute bianche per mimetizzarsi sulla neve ma non in quell'occasione.
Dopo il Ten. Santino Calvi, già ricordato nella battaglia dell'Ortigara, ora ricordo il Capitano Nino Calvi e il Tenente Attilio Calvi che combatterono sull'Adamello, distinguendosi per capacità e per audacia e sacrificandovi la vita. Il più giovane dei quattro fratelli, Ten. Giannino Calvi, morì pochi mesi dopo la fine della guerra nell'ospedale militare di Padova a causa della epidemia di febbre spagnola che mietè milioni di vittime in tutto il mondo.
sulla strada statale pochi chilometri dopo il Passo del Tonale.
E' un museo a pagamento ed era collegato con il sottostante forte Velon.
che era collegato al forte Strino da un camminamento blindato che partiva proprio al di sotto della strada statale.
Si trova nella incantevole Val del Monte dopo Pejo e si raggiunge agevolmente per un comodo sentiero, dopo aver parcheggiato nell'apposito spazio. Il forte non era precisamente in prima linea, ma i suoi cannoni intervennero varie volte per battere le posizioni italiane dell'Ercavallo, del Montozzo e del Torrione di Albiolo in val Camonica.
Dal forte è raccomandabile proseguire per arrivare allo stupendo lago di Pian Palù alle pendici del massiccio del Cevedale e della Punta S Matteo, alta oltre 3600 mt. dove si combattè aspramente.
La punta S. Matteo è soprattutto legata al nome del Capitano Arnaldo Berni, che rimase sepolto nei ghiacci durante un bombardamento austriaco e il cui corpo non venne mai ritrovato. Il rifugio intitolato al Capitano Berni si trova vicino al Passo Gavia.
Il forte Saccarana, ora ridotto a ruderi, sorgeva in una posizione che più panoramica non potrebbe essere, avendo proprio di fronte il gruppo della Presanella con la Vedretta in primo piano e sulla destra il gruppo dell'Adamello. Per raggiungere i 2100 mt. del forte siamo saliti da un piacevole sentiero che parte proprio dietro al forte Strino e che è ben segnato sulla cartina mentre siamo discesi prendendo la ex strada militare che sbocca sulla statale in direzione del Passo del Tonale.
Il forte Saccarana, il cui compito era di bloccare la strada dopo il Passo del Tonale, insieme agli altri forti Mero e Pozzi Alti, partecipò attivamente con i suoi quattro obici da 10 cm. in cupole corazzate alle prime battaglie di artiglieria del 1915.
I cannoni del Saccarana distrussero nel mese di agosto 1915 la cosidetta Ridotta Garibaldina, una specie di fortilizio italiano al Passo del Tonale, ma pochi giorni dopo il forte venne colpito da una batteria di due obici da 305 italiani, piazzati nei pressi di Pontagna, a circa 11 km. dal Saccarana.
Il quarto colpo da 305 centrò in pieno il forte, penetrando all'interno ed esplodendo nel deposito munizioni con effetti terrificanti. Due delle cupole di acciaio dei cannoni saltarono via e rotolarono a valle.
Si trovano alla quota di circa 1800 mt. sotto il forte Saccarana.
Anch'esso aveva il compito di sbarrare la strada del Tonale ed inoltre aveva visuale aperta di tiro sulla Vedretta Presena dove operavano le truppe italiane. Venne colpito e distrutto dalle artiglierie italiane nel 1916.